A me il football piace raccontarlo.
Sarà perché la NFL, con la sua storia, si presta alle narrative più disparate: Super Bowl persi per mezza yard, partite decise da calci sbagliati di pochi centimetri, fratelli scelti alla prima assoluta entrambi con due anelli sulle dita a fine carriera, giocatori dal dubbio atletismo selezionati con la 199esima scelta assoluta che di anelli ne hanno 7, altri che invece vengono relegati all’ultima scelta del draft, potendo così sfoggiare il titolo di “Mr. Irrelevant”, e che al secondo anno vanno a giocarsi un Super Bowl.
Questo Super Bowl.
Allo stesso tempo il football è anche, e tanto, numeri.
E trovo che in questo sport i grandi campioni siano proprio quelli che vanno al di là dei numeri, quelli che devi vederli giocare per capirli davvero, per poter scorgere quell’aura che li avvolge.
Più su ancora, poi, ci sono le leggende.
Quelle i cui numeri non si spiegano, non sembrano avere un senso logico.
Non si spiega il fatto che un solo giocatore, sempre quello scelto con il pick 199, abbia più anelli di qualunque franchigia NFL e sostanzialmente tre carriere da Hall Of Famer concentrate in una.
Non si spiega che un ricevitore abbia 23mila yards in carriera con un distacco di oltre cinquemila dal secondo in classifica.
E parlando di numeri che non si spiegano ci sono squadre, quarterbacks, che il Super Bowl lo vincono anche quando si ritrovano sotto di 10 a pochi secondi dall’intervallo.
Questo Super Bowl.
Storie e numeri, racconti e analisi: si può riassumere in questa dicotomia la natura del football americano.
Ed è proprio quando il potere evocativo di una storia riesce ad andare più in là della razionalità dei numeri che nascono le grandi partite, le grandi squadre, i grandi giocatori.
Per raccontare come si deve questa grande partita, però, si deve iniziare dalle storie e dai numeri che le hanno dato vita.
San Francisco 49ers
Nessuno, nel mondo della NFL, è rimasto sorpreso nel vedere i 49ers strappare un biglietto per Las Vegas.
Tuttavia, se due anni fa aveste detto ai faithful che a condurli a quel Super Bowl non sarebbe stato né Trey Lance, quarterback preso con la terza scelta assoluta nel draft del 2021 (scelta costata ai 49ers un occhio dalla testa), né tantomeno Jimmy Garoppolo, che già li aveva guidati alla partita più importante di tutte pochi giorni prima che il Covid fermasse il mondo, ma bensì il Mr. Irrelevant del draft 2022, l’ultima scelta del draft, di sicuro vi avrebbero riso in faccia.
Ma il football è fatto sia di numeri che di storie, e quella di Brock Purdy è sicuramente una delle più belle, e forse la più surreale, degli ultimi anni.
“You’re below average in height. Your arm strength is whatever. Your accuracy is average.”
Così lo aveva apostrofato Nick Saban, storico coach di Alabama, prima dell’inizio di una carriera collegiale che lo ha poi visto finire ad Iowa State.
Pensiero probabilmente condiviso da 31 squadre NFL, molte delle quali in cerca di un quarterback titolare, visto che nel draft del 2022 lo hanno ignorato non una, non due, ma sette volte di fila, relegandolo a ultima – letteralmente – ruota del carro. Ed ecco che i 49ers – per puri motivi di profondità del roster, e non per lungimiranza, che sia chiaro – hanno deciso di dargli una chance.
The 2022 Mr. Irrelevant is…. Brock Purdy. 🙌@brockpurdy13 | @49ers pic.twitter.com/pu9tmMexKD
— NFL (@NFL) April 30, 2022
Purdy siede in panchina per la prima metà della stagione 2022, dietro sia a Lance che a Garoppolo.
Gli infortuni di entrambi i colleghi, tuttavia, lo vedono diventare il quarterback titolare dei 49ers da week 14 dello stesso anno: San Francisco non avrebbe più perso una partita da lì alla finale di conference.
Nella partita con Philadelphia, la cui vincitrice sarebbe andata a giocarsi il Super Bowl proprio con i Chiefs, Purdy si rompe un legamento del gomito e i 49ers, tra un infortunio e l’altro, si ritrovano costretti a finire la partita con McCaffrey come quarterback d’emergenza.
I numeri e l’atteggiamento di Purdy in campo, però, sono tanto buoni da far subito sperare in meglio per la stagione 2023: Shanahan mette nelle mani del giovane quarterback di Iowa State le redini della squadra, nonostante i dubbi sorti intorno alle sue capacità fisiche e a una presunta telefonata a Tom Brady durante l’estate per valutare un ennesimo ritorno del migliore di sempre.
Purdy non delude: forte di quello che, come dicono in America, 1 through 53 è a mani basse il miglior roster della lega, conclude la regular season con quasi 4300 yard, 31 touchdown e 11 intercetti.
A onor deI va però detto che i 49ers sono letteralmente gli Avengers – quelli che hanno ucciso Thanos, non le vestigia che ne restano ora.
Per tutta la stagione, al netto delle ottime prestazioni di Purdy, i media americani lo hanno più volte escluso dalla top 5 dei giocatori più importanti della squadra e, non me ne voglia il giovane quarterback, è difficile dar loro torto.
Con questo non si vuole sminuire il ruolo di Purdy in un sistema di gioco perfettamente complementare con le sue qualità, ma è giusto sottolineare la strapotenza del roster messo insieme da John Lynch.
Senza esagerare, i 49ers possono vantare quelli che sono – a mio avviso – il miglior left tackle, il miglior runningback e il miglior linebacker della lega. A questi si aggiungono un corpo ricevitori che fa invidia al 90% della NFL e una front 7 che sembra creata nella modalità “carriera” di Madden.
Insomma, i San Francisco 49ers hanno passeggiato per tutta la regular season – zoppicando solo per tre partite consecutive a causa dell’assenza di metà dei supereroi – arrivando così con comodità a conquistare un primo seed nella NFC che sembrava essere annunciato già a inizio ottobre.
Nonostante due prestazioni non brillanti nei playoff prima contro Green Bay e poi contro Detroit, come tutti si aspettavano ormai da mesi Purdy e compagnia hanno strappato il biglietto per Las Vegas dove, da buoni Avengers, avrebbero avuto la possibilità di vendicarsi per quel Super Bowl perso 4 anni prima.
Kansas City Chiefs
Nessuno, nel mondo della NFL, sarebbe rimasto sorpreso se a settembre gli aveste detto che i Chiefs sarebbero tornati al Super Bowl.
Anzi, sarebbe sembrata una cosa tanto ovvia che quasi avreste fatto la figura degli idioti a credere che fosse possibile il contrario.
Tuttavia, se la stessa affermazione l’aveste fatta la sera di Natale, le reazioni sarebbero state ben diverse.
Se per raccontare l’approdo dei 49ers al Super Bowl ho deciso di parlare della storia di Brock Purdy e di come un Mr. Irrelevant è arrivato là dove molti suoi colleghi presi con la prima scelta assoluta non sono mai arrivati, nel caso dei Chiefs voglio invece affidarmi all’altra grande costante del football: i numeri (la playoff run dei Chiefs l’ho già raccontata qui)
Storie e numeri.
Per ognuno dei due lati della palla – modo di dire anglofono che si presta malissimo a una traduzione italiana, mi scuso – c’è un numero che riassume perfettamente la stagione di Kansas City.
In attacco, per la prima volta negli ultimi sei anni, questo numero non è 15.
E’ il 44.
44 non è il numero di maglia di un giocatore – non me ne voglia il rookie Cam Jones – ma il numero di passaggi droppati dai ricevitori di Kansas City.
Il 6.7% dei passaggi totali lanciati da Mahomes.
Il 10% di quelli che quantomeno sono finiti tra le mani dei giocatori (il dato impressionante è che, nonostante questo dato infausto, Mahomes ha chiuso la stagione con la migliore completion percentage della carriera).
Sia ben chiaro, gli incubi offensivi dei Chiefs nel 2023 non si limitano ai drop: tra intercetti insensati lanciati da Mahomes, un right tackle che ha terminato l’anno come giocatore più penalizzato della lega e imprecisioni frutto di poca concentrazione, l’attacco inarrestabile dei Chiefs è sembrato per tutta la stagione solo un lontano ricordo.
Il football, però, si risolve negli episodi, e gli episodi più incisivi della stagione rimandano tutti a passaggi che sarebbero dovuti terminare saldamente tra le mani dei ricevitori in maglia bianco-rossa, e che invece sono finiti miseramente a terra (o, peggio, nelle mani degli avversari).
Per raccontare gli episodi più eclatanti basta pensare al disastro di Kadarius Toney nel season opener che ha regalato un pick-6 ai Lions, al drop di Skyy Moore nella endzone contro i Broncos proprio quando la partita sembrava recuperabile, e soprattutto al nefasto svenimento – non so definirlo altrimenti – di MVS contro gli Eagles dopo che Mahomes era quasi riuscito a riprendere in mano la partita con un cioccolatino da 45 yards.
Questi errori, insieme alle sbavature di cui sopra, hanno completamente ridimensionato la realtà offensiva dei Chiefs e portato lo stesso Mahomes a momenti di crisi sia in campo che sulla sideline.
Come può una squadra del genere essere arrivata al Super Bowl, vi chiederete.
Domanda più che legittima la cui risposta, a mio avviso, ha un nome e un cognome.
Stephen Christopher Spagnuolo.
Il coordinatore difensivo più vincente di sempre.
In un paio d’anni, e con pochi ma efficaci innesti, Spags ha trasformato una difesa discreta con tante lacune in una macchina da guerra. La difesa dei Chiefs è stata indubbiamente tra le top 3 della stagione, seconda per punti e yards concesse. Ah, pardon, è anche la difesa più giovane dell’NFL. Ecco dunque l’altro numero fondamentale: 17,3. I punti concessi a partita dai Chiefs, a fronte dei 21,7 dell’anno passato.
Forte di un defensive tackle inspiegabilmente sottovalutato (perché se Chris Jones dopo una stagione così non è finito nella top 10 per il DPOY è sottovalutato) e di uno dei migliori tandem di cornerback della lega in Sneed e McDuffie, Spags è riuscito con mosse ben ponderate a completare il puzzle con i pezzi giusti e a forgiare una difesa secolare sul confine tra Missouri e Kansas.
Va però ricordato, per concludere quest’analisi sui Chiefs, che stiamo parlando di Super Bowl.
E tutti sanno che nell’ultima partita dell’anno, l’unica che conta davvero, vigono leggi matematiche strane e incomprensibili.
C’è chi ha vinto dopo essere stato sotto 28-3, chi ha perso per mezza yard, chi ha preso la palla più importante della partita – e della sua carriera – con il casco.
Ecco, allora, il numero più significativo dei Chiefs di Redi e Mahomes in ottica Super Bowl: 2-1. Due vittorie e una sconfitta.
Questo è il record della versione dei Chiefs che tutti conosciamo, alla vigilia della partita di Las Vegas, quando si sono trovati in svantaggio di 10 punti nel Super Bowl.
Il resto della lega, storicamente, è 4-48.
I Chiefs iniziano a giocare i Super Bowl quando sono sotto di 10 (e quando dall’altra parte non c’è Brady, ndr).
E i 49ers, con poco più di 4 minuti da giocare nel secondo quarto, saranno sopra di 10 punti.
Super Bowl LVIII: 49ers @ Chiefs, Round 2.
I Super Bowl, spesso e volentieri, sono una guerra in trincea, una battaglia di nervi.
Il più delle volte si rivelano partite estremamente difensive in cui la field position gioca un ruolo fondamentale.
Questo Super Bowl è esattamente una di quelle partite.
Lo sto riguardando ora, mentre scrivo questo “articolo” (non so neanche come definire queste cose che scrivo, ma mi piace scriverle): le chunk plays si contano sulle dita di una mano e le difese sembrano insuperabili sia da un lato che dall’altro.
Basti pensare che sui primi 3 turnover della partita – due ai danni dei Chiefs e uno contro i 49ers – l’attacco avversario non è riuscito a capitalizzare neanche un punto.
In partite come questa, nelle quali non si riesce a trovare un piano d’attacco sostenibile – per quanto le corse di McCaffrey non siano state esattamente inefficaci – bisogna tirare fuori qualcosa dal cappello.
Nulla supererà mai la Philly Special in termini di trick plays nei Super Bowl, probabilmente, ma la giocata folle chiamata da Shanahan sulle 21 dei Chiefs entrerà negli annali: fake screen sulla sinistra per Jennings, screen dall’altra parte del campo per McCaffrey, un lancio orizzontale del numero 15 dei 49ers (sicuramente il numero 15 che tutti si aspettavano avrebbe lanciato il primo touchdown della partita) con la palla che sembra stare in aria per mezz’ora, e McCaffrey come suo solito legge i blocchi alla perfezione e segna.
A look at the 49ers' trick-play TD from one of the new CBS camera angles 👀pic.twitter.com/KGZTsMRfRL
— Front Office Sports (@FOS) February 12, 2024
Il danno è fatto.
I Chiefs sono sotto di 10.
Il secondo tempo inizia con il solito intercetto inspiegabile lanciato da Mahomes, al quale ormai i tifosi del kingdom sono abituati, ma per i successivi dieci minuti di cronometro la solfa non cambia: punt, punt, punt, un field goal per i Chiefs che accorciano lo svantaggio dopo l’ormai tipico scramble matto e disperatissimo di metà febbraio a cui il quarterback di Kansas City ci ha abituati.
Una partita di scacchi, di posizione sul campo.
In partite come questa, dove le difese prevalgono sugli attacchi un drive dopo l’altro, a fare la differenza sono spesso gli unsung heroes del football americano, gli eroi che non ricevono lodi, articoli di giornali o segmenti nei programmi sportivi di punta.
Gli special teams.
Basti pensare che con il primo field goal della partita Jake Moody ha stabilito il record per il calcio più lungo nella storia del Super Bowl, record infranto pochi minuti dopo da Harrison Butker.
In una partita tanto serrata conta ogni punto, ogni yard.
A 2 minuti e mezzo dalla fine del terzo quarto arriva la giocata che svolta la partita: con un punt particolarmente fortunato i Chiefs forzano un errore dei 49ers e si ritrovano la palla in mano nella redzone avversaria: Mahomes non se lo fa ripetere due volte e sul primo snap dell’azione pesca MVS – chi, se non lui – nella endzone.
Special teams takeaway for Kansas City!
— NFL (@NFL) February 12, 2024
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I Chiefs hanno iniziato il loro Super Bowl.
I 49ers, però, non ci stanno.
Su Shanahan si sono dette molte cose dopo questo Super Bowl, perlopiù negative.
Trovo invece che per i primi tre quarti di gioco Shanahan abbia orchestrato un’ottima partita. L’unica colpa che mi sento di imputargli è la scelta sul lancio della moneta, ma ci arriveremo.
Tra le cose sicuramente positive c’è la sua risposta al touchdown dei Chiefs: Shanahan chiama tre passaggi in quattro giocate, Purdy esegue alla perfezione e porta San Francisco in territorio avversario.
Il ritmo dell’azione convince il coach dei 49ers a prendere la decisione più difficile della sua partita su un 4&3 nella redzone dei Chiefs.
Se calci, pareggi, ma Mahomes sembra aver preso il ritmo giusto.
Se converti, ti puoi giocare il sorpasso.
Se non converti, meglio non pensarci, contro quelli là.
Quarti down come questo sono tutti questione di match-up: guardi il campo e scegli il tuo uomo migliore. Anche se quell’uomo fino a quel momento ha messo a referto un gran totale di 0 yard.
Purdy sa già dove guardare, è praticamente una one-man-read: sul lato destro Kittle brucia Justin Reid, si lancia per guadagnare la mezza yard che gli manca, e prende il primo down. Un paio di giocate più tardi Jauan Jennings – che ha lanciato il primo touchdown – si infonde dell’aura di Marshawn Lynch e quasi si trascina dietro due avversari nella endzone.
16-13.
I 49ers sono a un PAT di distanza da un vantaggio di 4 punti che inizia, un po’, a sapere di anello.
Ma in partite come questa, come ho già detto, a fare la differenza sono gli unsung heroes, gli special teams.
Moody calcia basso, troppo basso, e Leo Chenal – ennesimo eroe in sordina di questi Chiefs – ci mette una manona alla Gigi Buffon e blocca la palla.
Va bene che ogni punto pesa, ma figuriamoci se a causa di questo errore la partita finisce in pareggio.
Ecco.
Dopo un buon drive i Chiefs rimangono strozzati a poche yard dalla endzone dei 49ers e si accontentano di calciare.
Pari.
Non so molto di fisica, ma so che secondo la relatività del tempo non esiste un tempo assoluto.
Ecco, questi sono gli ultimi minuti di una partita di football.
Purdy riprende la palla in mano con poco meno di sei minuti sul cronometro, e sa benissimo qual è l’obiettivo.
Non è necessariamente segnare.
Non è assolutamente segnare in fretta.
E’ mangiare il cronometro, costringere i Chiefs a bruciare i propri timeout e mettere in saccoccia anche solo 3 punti, lasciando però agli avversari il minor tempo possibile – nel caso dei Chiefs non più di 13 secondi, ma questa è un’altra storia.
I 49ers trottano fino alle 35 dei Chiefs, costringendo Kansas City a usare un time out e superando anche il 2-minute warning.
3&5.
La palla più pesante che Brock Purdy abbia mai lanciato.
Una palla che due anni prima, quando è stato preso con l’ultima scelta al draft, non avrebbe neanche sognato di poter mai tenere in mano.
Se prende questo primo down la partita è virtualmente finita: la dai a McCaffrey tre volte, fai scorrere il tempo, calci con 3 secondi sul cronometro, giù i coriandoli.
Purdy è un quarterback brillante, più maturo di quella che è la sua effettiva esperienza di gioco.
Sa che questo snap non lo sta giocando contro i giocatori in campo.
Lo sta giocando contro Spags.
E chi conosce il modus operandi del DC di Kansas City sa benissimo come si gioca questi terzi down.
Send the house.
Spags prova a confondere le acque per Purdy, il quale sa benissimo che gli stanno per volare in faccia almeno 6 energumeni con cattive intenzioni, ma non sa chi, né da dove.
Spagnuolo illude Purdy con il look di una cover 2 che è in realtà una cover 1 nella quale il suo blitzer preferito, Trent McDuffie, si ritrova completamente libero di arrivare su Purdy: il cornerback dei Chiefs non va per il sack ma pensa solo a mettersi tra la palla e qualunque ricevitore in maglia bianca si trovi alle sue spalle.
La palla colpisce il braccio di McDuffie e finisce a terra.
San Francisco calcia.
19-16.
Ora, nonostante le difficoltà in attacco dei Chiefs, dubito che qualcuno a questo punto della partita abbia davvero creduto che i 49ers avrebbe vinto nei tempi regolamentari: limitare i Chiefs a 3 punti era sicuramente plausibile, anzi molto probabile, ma impedire loro di arrivare almeno nel range di un calcio di Butker era quasi utopia.
Mahomes orchestra il suo solito 4th quarter drive, porta i Chiefs sulla linea delle 11 yard dove, però, complici un uso dei timeout non ottimale e l’ennesimo snap basso di Creed Humphrey, ha solo una possibilità di cercare Kelce nella endzone, chance nullificata da una copertura magistrale da Fred Warner.
Butker calcia, segna, overtime.
Non voglio dilungarmi troppo sul dibattito intorno ai 49ers e al fatto che a quanto pare nessuno di loro conoscesse le nuove regole dell’overtime, secondo le quali anche nel caso in cui la squadra che ha la palla per prima dovesse segnare un touchdown, gli avversari avrebbero un intero possesso (regola entrata in atto dopo che Mahomes non l’ha più fatta vedere ai Bills, ndr).
Fatto sta che al lancio della moneta, tra l’incredulità di tutto lo stadio e soprattutto della panchina dei Chiefs, Fred Warner dice di volere la palla.
Se non fosse per un holding di McDuffie, probabilmente la partita sarebbe finita sul primo set di down, dove i 49ers si erano quasi visti costretti a ridare il pallone ai Chiefs su un 4&13.
La flag per McDuffie, sacrosanta, dà però un’altra chance a San Francisco, che in modalità simili a quelle dell’ultimo drive dei tempi regolamentari si ritrova a giocare un terzo down sulla linea delle 9 yards dei Chiefs.
Stesso scenario di prima.
Purdy sa che qualcuno arriverà, ma non sa da dove.
Questa volta Spags decide di mandare l’artiglieria pesante: la man coverage dei Chiefs crolla completamente, Purdy ha due ricevitori liberi di cui uno nella endzone con un ettaro di terreno libero intorno a sé, ma giusto il tempo di scandagliare il campo e scorgere il compagno completamente solo e il giovane quarterback si ritrova addosso Chris Jones, il quale forza l’ennesimo incompleto di fondamentale importanza nella postseason dei Chiefs.
San Francisco calcia, segna.
Ora il regolamento è molto semplice: se i Chiefs non fanno punti, perdono.
Se ne fanno 3, ridanno la palla ai 49ers, ai quali basterebbe poi un kick per portare a casa la partita.
Se segnano un touchdown, vincono.
Ci siamo passati mille volte.
Chiunque fosse un tifoso imparziale sapeva già come sarebbe finita nel momento in cui i 49ers non hanno convertito quel 3&4 a pochi metri dalla endzone avversaria.
Mahomes con la palla in mano in un overtime del Super Bowl e senza vincoli di tempo è una sentenza.
E quei pochi miscredenti che ancora non si erano rassegnati all’inevitabile, credo si siano redenti nel momento in cui, su un 4&1 che potrebbe aver fatto vacillare anche i più fedeli, Mahomes manda completamente al bar Nick Bosa su una triple option che i 49ers hanno sofferto per tutta la partita.
Mahomes takes it himself with the game on the line!
— NFL (@NFL) February 12, 2024
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Steve Wilks, ormai ex coordinatore difensivo di San Francisco, continua a chiamare man blitz su letteralmente l’unico quarterback al mondo che performa meglio quando si ritrova ad affrontare questo tipo di difesa.
Mahomes pesca prima Rice su un blitz esagerato dei 49ers che persino Tony Romo ha riconosciuto subito come la peggior chiamata possibile, poi, poco dopo, ritrova San Francisco nella stessa difesa e corre per 19 yards.
Fantasmi dello scorso Super Bowl.
Arrivati nella redzone avversaria Kelce ricorda a tutti chi è ancora la miglior tight end in circolazione e come un carrarmato spinge la palla sulla linea delle 3 yards.
4 tentativi per prendere 3 yards.
Perché è impossibile che Andy Reid non se la vada a giocare fino in fondo questa partita.
Se c’è una cosa che distingue Andy Reid e i suoi gameplan è che tende sempre a non mostrare i suoi assi nella manica fino al momento in cui si rivelano davvero necessari.
Altra sua peculiarità è quella di disegnare spesso le giocate più letali intorno a quei giocatori che non ti aspetti.
L’anno scorso, nel Super Bowl contro Philadelphia, con la stessa identica giocata i Chiefs hanno segnato due volte da distanza simile prima con Toney e poi con Moore. Appunto, quelli che non ti aspetti.
Come non ti aspetti che la palla più importante della stagione finisca nelle mani di un giocatore tagliato a inizio anno, finito ai Jets – destino infame – per poi essere ripresa dai Chiefs a metà stagione in cambio di una scelta negli ultimi giri del draft.
Non te l’aspetti anche perché nella partita con Buffalo questo stesso giocatore, con una giocata abbastanza inutile, ha rischiato di mettere a repentaglio l’intera partita con un fumble sulla linea delle 2 yard avversarie.
Ma, come si dice nel basket, ball dont’ lie.
Tiger 12, Tom & Jerry Right Gun Trips Right Bunch F-Shuttle Corn Dog.
La stessa identica giocata dell’anno scorso, dove 12 sta sia per “1 runningback, 2 tight end in campo”, sia per il numero di maglia di quel giocatore inaspettato, Mecole Hardman.
Parte lo snap, la safety Logan Ryan vive un secondo di indecisione e Mahomes tira “jordanescamente” fuori la lingua: è finita.
You can feel the energy. Absolutely electric. #SBLVIII pic.twitter.com/5LmmVGU5XW
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I Chiefs sono back-to-back Super Bowl champions, i primi in 20 anni.
La favola di Purdy non termina come tutta la bay area – anzi, tutta l’America anglofona al di fuori del Missouri e del Kansas – avrebbe sperato, ma il giovane quarterback di Iowa State ha dimostrato di saperlo reggere quel palcoscenico, e non dubito che sarà in grado di calcarlo di nuovo, in futuro.
Dall’altra parte, invece, è ufficialmente nata una dinastia.
Tre anelli in 5 anni.
Sei finali di Conference in sei stagioni da titolare per Mahomes.
Un record di 3-1 nei Super Bowl, andando sempre sotto di 10.
Due trame completamente rivoluzionate da una partita capace, ogni anno, di scrivere una storia che va ben oltre i numeri.