O Comandante! Mio Comandante!

O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
la nave ha superato ogni ostacolo, l’ambìto premio è conquistato,
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
occhi seguono l’invitto scafo, la nave arcigna e intrepida

Forse la parte più prettamente elegiaca della celebre poesia di Whitman non fa al caso nostro, ma l’immaginario del Capitano – o meglio, Comandante – che pone fine a un viaggio tremendo e che riconduce l’arcigna nave al porto tra il clamore del popolo esultante ben racconta l’atmosfera surreale che si sta respirando a D.C. in queste prime settimane di regular season.

I Commanders – nome che ancora scrivo e pronuncio con un brivido che mi pervade le vene – sembrano davvero aver trovato il loro Comandante.

Forse è troppo presto per azzardare, di nuovo, considerazioni di sorta riguardo alle discrepanze tra primo e secondo pick – discorso ben più complesso, questo, e ancora acerbo, diamo tempo al tempo. E’ tuttavia inopinabile che questo settembre footballistico ha visto emergere una e una sola superstar tra i quarterbacks draftati lo scorso aprile: Jayden Daniels.

Tolta una miracolosa apparizione ai playoff sotto la guida temeraria di Taylor Heinecke – protagonista di una più che dignitosa prestazione contro i primi Bucs di Brady – la storia recente della squadra capitolina si può senza infamia paragonare alla nave arcigna di cui racconta Whitman nella sua elegia del fu Abraham Lincoln. L’ultimo record positivo risale ai tempi di Kirk Cousins, quando la franchigia portava un altro nome – di tutt’altro prestigio – e in panchina sedeva l’integerrimo John Gruden. Da lì in poi i Red- pardon, Commanders (née Football Team) hanno passato quasi un decennio nel ruolo di una squadra al limite dell’irrilevanza nella lega, eccezion fatta per la sopracitata miracolosa apparizione nella postseason del Covid e per qualche sporadica prestazione difensiva.

Oggi, invece, sono sulla bocca – e, dopo tanto tempo, sulle televisioni – di tutti.

Negli ultimi anni raramente si è assistito all’avvento di rookie quarterbacks che dalla prima settimana si sono dimostrati essere davvero “NFL ready”, anzi, la fretta di mettere subito in campo i nuovi prospetti si sta sempre più dimostrando una mossa deleteria per la confidence e per il futuro di talenti pieni di potenziale ma ancora acerbi.

Per fortuna di Dan Quinn, dei Commanders e di tutti i tifosi di Washington, tuttavia, Jayden Daniels di acerbo ha ben poco. Nel giro di un mese scarso l’Heisman in carica ha strabiliato tutti i fan dello sport, mettendo una cospicua ipoteca sull’OROTY e portando i Commanders a un inaspettato primato – provvisorio – della division.

Ora, dire che le prime due week di Daniels siano stati fuochi d’artificio sarebbe oggettivamente scorretto, ma proprio al netto di una prevedibile e giustificabile partenza al rallentatore, le due settimane clamorose – termine inflazionato ma che trovo adatto alla circostanza – da cui è reduce l’ex quarterback di LSU meritano di essere raccontate.

L’ecocardiogramma delle prime due apparizioni di Daniels sui campi dell’NFL è una linea piatta: zero TD su lancio e zero intercetti; statistica che, corredata da due touchdown su corsa, credo non abbia dispiaciuto Dan Quinn e il suo OC Cliff Kingsbury – co-artefice di questo piccolo sogno a occhi aperti a cui stiamo assistendo. Gli highlights di Daniels in queste prime due partite consistono per lo più in una serie di options e QB keeps suicide tra la guardia e il tackle con l’aggiunta di qualche rollout frettoloso indubbiamente dettato da un play design semplificato da cui si nota l’intelligenza della coppia Quinn/Kingsbury, che ha voluto facilitare il più possibile l’impatto inevitabilmente brusco del rookie andando a replicare quelle tipiche one-read-plays che costellano i playbook collegiali.

Alla vigilia della trasferta in week 3 a Cincinnati, però, qualcosa cambia.
Una partita fuori casa contro una squadra che pochi giorni prima ha fatto venire il mal di testa a Andy Reid e Mahomes con i suoi schemi difensivi – resto dell’idea che Anarumo passi il 90% dell’offseason a prepararsi per i Chiefs, per poi dimenticarsi come si difende contro il resto della lega – non prometteva benissimo, soprattutto alla luce del ritorno tanto atteso di Tee Higgins e della vittoria non del tutto convincente contro i Giants da cui i Commanders erano reduci, occasione nella quale la squadra di Washington aveva manifestato non pochi problemi di finalizzazione nella redzone.

La prestazione dei Commanders nella prima metà della partita è il naturale prosieguo delle due settimane precedenti: options, uso e abuso dell’atletismo di Daniels, passaggi nella flat e qualche bella palla sia dentro che fuori dai numeri per mettere un minimo di paura a una difesa del tutto spaesata.

Alle porte del 2-minute warning del primo tempo, però, Kingsbury si ricorda che quello che ha tra le mani non è solo un quarterback dalle impressionanti doti atletiche, ma anche la miglior deep ball che si sia vista in NCAA l’anno passato. Su un secondo down costruito ancora una volta con giocate mai superiori alle 5 yard, un incredulo Daniels scorge McLaurin da solo su un’isola con il loquace Cam Taylor-Britt, e con gli occhi pieni dei fasti di tutti quei sabati collegiali in cui quella palla è uscita dalla sua mano già certa di finire nelle irreali mani di Malik Nabers, con uno stoicismo che a un rookie dovrebbe essere estraneo – ma questo l’ho già detto la scorsa primavera di Stroud, divento noioso – fa partire quel colpo di cannone che è il suo marchio di fabbrica segnando così, finalmente, l’inizio della propria carriera.

La partita si sviluppa sulla falsa riga di quanto visto finora: i Commanders segnano facendo venire gli incubi alla difesa di Cincinnati, i Bengals rispondono con dignità colpo su colpo, costringendo gli avversari a un must have first down su 3rd&7 all’alba dei due minuti del quarto quarto che Daniels decide di giocarsi con quella stessa giocata di cui sopra, quella che ha portato con sé dal deep south al Maryland:

In questa giocata c’è tutto Jayden Daniels: calma stoica anche con un free rusher in faccia, ball placement chirurgico, release fulminea che gli permette di studiare il campo fino all’ultimo secondo.

La partita finisce virtualmente con questo cioccolatino servito là dove può arrivare solo Terry, i Commanders vanno 2-1 e, per la prima volta nell’ultimo decennio – bruci all’inferno chi usa “decade” per indicare un periodo di dieci anni – sembrano aver trovato la giusta risposta under center.

Una partita, però, non è abbastanza per permettersi di volare sulle ali dell’entusiasmo, ma Daniels ha ben pensato di ripetersi in week 4 per confermare quanto di buono visto a Cincinnati:

La prestazione di Daniels con Arizona è stata meno elettrizzante anche alla luce dell’andazzo di una partita che è finita ancora prima di iniziare, con i Commanders che hanno schiacciato i Cardinals dal primo snap offensivo senza mai togliere il piede dall’acceleratore nelle tre ore successive. Nel corso della partita è arrivato, è vero, il primo intercetto, ma si sono anche viste cose che, da una prospettiva più prettamente tecnica, sottoscrivono e rafforzano quanto di buono Daniels aveva già fatto vedere in precedenza da un punto di vista “estetico”:

Se in week 3 sono finalmente arrivati sul tabellino i numeri che ci si aspettava di vedere da un Heisman, in week 4 gli occhi più fini – di certo non i miei, per questo mi affido al buon Orlovsky e alla sua dolcissima “p” quasi sputata in quel povero microfono – hanno finalmente potuto intravedere i primi cenni di quelle intangibles di cui consta il divario che separa il quarterback medio da un uomo franchigia: capacità di lettura della difesa, velocità nello “scorrere” le proprie read, l’atletismo necessario per lanciare off-platform – quasi di troppo, quest’ultima qualità, quando hai una release del genere.

Per il secondo anno di fila la dea bendata ci ha viziati con un secondo pick che, almeno in queste primissime battute, sembra essere mani e piedi avanti a tutti i compagni di draft. Se la scorsa stagione abbiamo avuto il lusso di assistere a quella che continuo a ritenere la miglior rookie season di sempre per un QB, quest’anno ci troviamo di nuovo di fronte alla storia, quella di un ragazzo che nelle sue prime quattro partite ha messo a referto la più alta percentuale di passaggi mai vista in altrettante prestazione consecutive. Se due anni fa vi avessi detto che i Commanders sarebbero stati la squadra più interessante della divisione – soprattutto dopo lo sbarco di Saquon a Philadelphia e l’estensione di Dak e CeedDee in quel di Dallas – mi avreste dato del pazzo. Eppure, eccoci qua, con una squadra che nel giro di un mese ha sviluppato un’identità offensiva ben definita – più scoring drives che passaggi incompleti in stagione sembrano un’utopia platonica, ma sono diventati realtà a Washington – e che non pare avere la minima intenzione di togliere il piede dall’acceleratore.

E’ proprio a Washington D.C. che Whitman ha scritto la poesia con cui ho voluto aprire questo pezzo, ma ora, centocinquant’anni più tardi, l’arrivo del comandante nella capitale non è seguito dal mornful tread, dal luttuoso incedere di Whitman, ma da una scarica di adrenalina ed entusiasmo che non si vedeva da tempo.